4.4 Storia della Regia Zecca

Alla proclamazione del Regno d’Italia nel 1861 esistevano sei Zecche: Bologna, Firenze, Genova, Torino e Napoli. Tuttavia, nello stesso anno il Governo decise di tenere in esercizio le sole Zecche di Milano, Napoli e Torino, al fine di rendere più efficiente e rapida la conversione di tutte le valute non decimali in corso nelle varie provincie d’Italia in nuove monete decimali.

Inoltre, si stabilì che la fabbricazione delle nuove monete d’argento e d’oro fosse eseguita con il sistema dell’appalto, a seguito di concorso pubblico, che fu vinto dalla Banca Nazionale. Nel 1866 con l’annessione del Veneto all’Italia, alle tre Zecche suddette si aggiunse quella di Venezia.

Ultimata la fabbricazione delle monete d’argento del nuovo Regno, l’operatività delle quattro Zecche in appalto diventò marginale e si decise di concentrare l’attività in una sola: la Zecca di Milano, in quanto “la più comoda, la più vasta e ben fornita di materiale, e perciò la più suscettibile a prestarsi in qualunque contingenza ad ogni bisogno[1]. Tuttavia, l’affinazione e la partizione dei metalli acquistati dalla Banca Nazionale per la coniazione delle monete continuarono all’interno dei locali della zecca di Genova.

Nel 1870 con l’annessione del Lazio, alla Zecca di Milano si affiancò la Zecca Pontificia di Roma che dipendeva direttamente dal Ministero delle Finanze, il quale ne acquisì l’edificio, l’organico, i macchinari ed il patrimonio storico che vi era conservato, vale a dire il Gabinetto Numismatico che raccoglieva, oltre a medaglie e monete, la collezione di conî e punzoni di medaglie pontificie, nucleo originario del futuro Museo della Regia Zecca. La Zecca di Roma fu subito adibita per coniare le monete d’oro da 20 lire e le monete d’argento da 5 lire. Il cav. Filippo Speranza, che aveva ricoperto fino ad allora il ruolo di capo incisore nella Zecca Pontificia, continuò a mantenere tale incarico realizzando i conî della monetazione del Regno.

La Zecca di Roma non era sufficiente a far fronte alla richiesta monetaria del nuovo Stato, in quanto non vi erano attrezzature adeguate. Infatti, il nucleo principale dei macchinari in dotazione risaliva alla dominazione francese, quando all’inizio del XIX° secolo furono importati dalla zecca di Parigi un laminatoio, tre tranciatrici, tre aggiustatoi, cinque bilancieri di varie dimensioni e cinque contornatrici. Finita tale dominazione furono introdotte altre opere di miglioria: acquisto di alcuni piccoli torni per metalli preziosi e di alcune lingottiere mobili che sostituirono le forme per colata a terra. Inoltre, venne rinnovata la macchina motrice delle trafilatrici con la costruzione di una grande ruota idraulica in ferro al posto di quella antica molto più piccola ed in legno.

Ciononostante, le suddette innovazioni non erano sufficienti a soddisfare la crescente domanda di una maggior quantità di monete ed i bilancieri dovettero ben presto essere sostituiti dalle moderne presse monetarie. Al riguardo, in un articolo di Laura Cretara contenuto nel Supplemento al n. 10 del Bollettino di Numismatica viene data evidenza di questa sostituzione.

La Zecca di Napoli ne possiede una [pressa monetaria, ndr] ed il Nunzio Apostolico della città informa il direttore Mazio che con la nuova macchina si ottiene il triplo del prodotto ottenuto al bilanciere con metà della forza necessaria a tenerlo in azione. La nuova pressa può essere adattata oltre che ad un motore ad acqua anche a quello a vapore che, inventato in Inghilterra alla fine del ‘700 ad opera di Watt e Boulton, è un nuovo gioiello di ingegneria meccanica da considerarsi passaggio fondamentale verso la coniazione moderna. Nel 1848, con approvazione di Sua Eccellenza Reverendissima Monsignor Giuseppe Ferrari, Tesoriere Generale Ministro delle Finanze, viene infine avviata la pratica di acquisto di due presse monetarie richieste al loro inventore e fabbricante signor Uhlhorn di Grevenbroich – Colonia”. Poi in seguito verranno comprate ulteriori presse Uhlhorn.

Tuttavia, una volta che Roma fu annessa all’Italia, si decise di rafforzare dal punto di vista tecnico la zecca trasferendo presso i suoi locali un macchinario acquisito dalla soppressa Zecca di Napoli. Inoltre, fu ristrutturato l’edificio e si attuò una riorganizzazione del lavoro. Nei primi anni la Zecca riuscì a far fronte alla produzione di monete necessarie solo grazie all’apporto della Zecca di Milano. Tuttavia, il 31 dicembre 1874 scadde l’appalto della Zecca di Milano assunto dalla Banca  Nazionale, ma le attività della zecca milanese continuarono fino al 1892, anno in cui venne soppressa. Pertanto, l’intera produzione di monete del Regno italiano fu concentrata presso la Zecca di Roma, in via delle Fondamenta, che divenne la Regia Zecca d’Italia.

Come abbiamo già osservato, quest’ultima non era in grado di far fronte alle esigenze monetaria del Regno e per questo motivo in alcuni casi si ricorse a Zecche estere: si ricorse alle zecche di Birmingham, Parigi, Strasburgo e Bruxelles per coniare le monete in bronzo da 10 centesimi oppure nel 1894 alla Zecca Arthur Krupp di Bendorf per coniare le monete da 20 centesimi in nichel.

Figura 99 – Nuovo edificio della Zecca di Roma in via Principe Umberto

Il palazzo della ex Zecca Pontificia sorgeva in un luogo non particolarmente gestibile, gli ambienti non erano funzionali alla produzione e in molti casi mal illuminati e mal areati. Inoltre, non vi era riscaldamento, i pochi bagni erano al di fuori delle officine e non era possibile installare generatori supplementari di forza motrice. Infine la fonderia era adiacente ai palazzi vaticani ed in caso d’incendio si sarebbe innescato un effetto a catena difficilmente controllabile[2].

Ci si rese quindi conto della necessità di costruire un nuovo edificio e di potenziare le attrezzature in dotazione della Zecca. Al riguardo, l’ascesa al trono agli inizi del ‘900 di Vittorio Emanuele III – il re numismatico – ha probabilmente favorito questo progetto e nel 1904 fu identificata l’area di via Principe Umberto, una zona centrale e ben accessibile. Fu quindi indetto un concorso fra gli architetti italiani per la costruzione della nuova zecca con Regio Decreto del 20 novembre 1904. Il concorso ebbe esito negativo in quanto nessuno dei progetti presentati soddisfaceva le speciali esigenze di una zecca e, di conseguenza, il Governo dovette assegnare l’incarico all’Ufficio Tecnico del Genio Civile. In particolare, il progetto fu affidato a Carlo Mongini, ingegnere capo del corpo Reale del Genio Civile, con la collaborazione del direttore della Regia Zecca Israel Sacerdote, per la progettazione delle officine e delle opere di sicurezza occorenti.

I lavori di costruzione iniziarono ufficialmente il 27 giugno 1908, con una cerimonia a cui ha presenziato anche il re Vittorio Emanuele III, il quale ha posto simbolicamente la prima pietra. E’ interessante ricordare che in tale prima pietra venne inserita una pergamena con su scritto: “Vittorio Emanuele III il XXVII Giugno MCMVIII pose la prima pietra augurale di una nuova zecca in Roma, officina e scuola dell’arte del conio, continuatrice di gloriose tradizioni, propagatrice di nomi e di fatti memorandi alle genti future”. Insieme alla pergamena fu inserita la serie di monete del 1908. Poi, i lavori di costruzione finirono circa tre anni dopo e il 27 dicembre 1911 il nuovo edificio della Zecca fu quindi inaugurato ufficialmente nuovamente dal re Vittorio Emanuele III in persona.

Nel frattempo il direttore della zecca, l’ingegner Mario Lanfranco, venne inviato in missione presso le principali officine europee (Londra, Parigi, Bruxelles, Utrecht e Vienna) per studiarne le attrezzature e l’organizzazione in modo da poter approntare gli impianti della nuova zecca romana secondo i più moderni criteri. Una speciale commissione esaminò i macchinari da acquistare e sostituire a quelli obsoleti della vecchia zecca.

Dal punto di vista delle attrezzature, una preziosa fonte di informazioni è costituita dalla Relazione sui Servizi della Regia Zecca per l’Esercizio finanziario 1911-1912 predisposta dal Ministero del Tesoro. Le citazioni che seguono si riferiscono al predetto documento, salvo laddove specificato diversamente.

Il nuovo edificio “si compone di un sotterraneo, del pianterreno, che occupa tutta l’area, e di quattro piani sopra il terreno, limitatamente però al corpo di fabbricato prospiciente la via Principe Umberto”.

I locali del sotterraneo erano destinati alla centrale elettrica, ai magazzini di deposito dei combustibili (es. carbone coke metallurgico, coke di gas, carbone fossile, carbone di legna, legna, etc.), alle caldaie per il riscaldamento invernale, alla lavanderia a vapore, alla cucina, al refettorio e ai bagni degli operai. “Sotto il soffitto del piano sotterraneo corrono i condotti del fumo che dai forni di fusione e di rinconzione e dalle caldaie per il riscaldamento invernale a termosifone, per la cucina, lavanderia, ecc., sboccano nel grande camino che si erge nel cortile d’onore”.

Il pian terreno era invece integralmente destinato “al servizio delle officine, tranne un locale all’angolo delle vie Principe Umberto e Lamarmora, destinato al signor direttore della R. Scuola dell’Arte della Medaglia. […] Ampi corridoi mettono in comunicazione i diversi reparti delle officine, che sono tra loro distinte e separate a seconda delle lavorazioni e dei metalli. In questi corridoi corrono binari di servizio con piattaforme girevoli per accelerare ed agevolare i trasporti ed il passaggio delle materie in lavorazione fra le diverse officine”.  Al primo piano si trovavano “gli uffici della Direzione con annessa biblioteca, il museo numismatico, il laboratorio d’incisione ed il primo laboratorio dei saggi. […] Il laboratorio dei saggi è in condizioni di poter eseguire qualunque analisi: dispone di cinque forni a muffola per analisi di oro, muniti di pirometri elettrici, e di un impianto per analisi elettrolitiche munito di tutti i perfezionamenti, ed è dotato di bilance della maggior precisione”. Invece, il secondo piano era destinato alla Regia Scuola dell’Arte e della Medaglia, al secondo laboratorio dei saggi, all’alloggio del portiere-custode, al vecchio archivio e a depositi diversi. Al terzo e al quarto piano si trovava l’alloggio della famiglia del direttore e il deposito di materiale della Zecca e della Regia Scuola della Medaglia.

Figura 100 – I due pantografi Janvier della Zecca di Roma (foto Museo della Zecca di Roma)

Prima di concentrarci sulle officine, dove si svolgeva il processo di coniazione, va fatto solo un cenno alla sala di incisione che disponeva “di due pantografi (torni di riduzione) del tipo Janvier di Parigi, l’uno di grande modello e l’altro di modello mezzano, azionati elettricamente con corrente continua fornita dalla batteria di accumulatori, per ottenere una velocità assolutamente costante nel movimento” (cfr. Figura 100).

Tornando ora alle officine ed più in particolare alle fonderie, si precisa che le stesse erano suddivise in tre distinti locali per la fusione: (i) dell’oro, (ii) dell’argento e (iii) dei metalli inferiori, vale a dire bronzo e nichel.

Per quanto riguarda la fonderia dell’oro, la stessa era dotata di “forni a gas sul tipo di quelli in uso nella nuova Zecca di Filadelfia, adoperando però il gas di città invece che il gas degli olii. […] L’impianto comprende tre forni fusori a gas per crogioli da 25 chilogrammi di metallo e un forno per crogioli da 10 chilogrammi. L’aria viene soffiata da un ventilatore ad alta pressione azionato a cinghia con apposito motorino elettrico”.

Figura 101 – Fonderia dell’argento della Regia Zecca di Roma

Invece, con riferimento alla fonderia dell’argento (cfr. Figura 101), è stato scelto “il vecchio tipo di forno in muratura, a vento naturale, che è ancora quello adottato presso le più importanti Zecche d’Europa”.

Da ultimo, relativamente ai metalli inferiori, sono stati installati dei “forni meccanici rovesciabili alimentati con coke metallurgico” di tipo Morgan che hanno “la specialità che i prodotti della combustione sono aspirati in basso e possono essere portati ad un camino centrale con condotto sotterraneo in muratura. […] Questi forni sono difatti adottati presso quasi tutte le Zecche estere perché consentono una grande rapidità nel lavoro di fusione, con un consumo ridotto di combustibile ed una buona utilizzazione di crogioli, se il forno è ben governato”.

Dalle fonderie le verghe passano alle officine dei laminatoi, che sono sistemate in un fabbricato adiacente, nella zona verso strada del fabbricato”. Le officine di laminazione erano suddivise in due reparti: uno per i metalli nobili (oro e argento) e l’altro per i metalli inferiori. “I laminatoi sono senza alcun dubbio le macchine più importanti per la preparazione meccanica dei tondelli da passare alle presse monetarie” e quindi “molte cure sono state rivolte all’impianto dei laminatoi”.

Figura 102 – Reparto laminatoi metalli nobili della Regia Zecca di Roma

Tutti i laminatoi hanno i cilindri temprati di acciaio fuso con dispositivo per il raffreddamento interno ad acqua. Il movimento ha luogo per mezzo d’ingranaggio (con doppio rapporto per i laminatoi sgrossatori e semplice rapporto per i laminatoi mezzani e rifinitori) con cinghia di trasmissione che lo collega con l’albero sotterraneo. I pignoni d’avantreno stanno fra cuscinetti ed involucro chiuso e rotano in bagno di olio. I denti dei pignoni hanno triplice disposizione per la sicurezza e regolarità del funzionamento. Per gli egualizzatori però il cilindro superiore è comandato dall’inferiore con cinghia. Il reparto laminatoi metalli nobili dispone di un laminatoio sgrossatore, di due laminatoi mezzani, di due rifinitori e due egualizzatori. Una volta preparate le lastre di metallo, le stesse devono essere “forate” per ottenere i tondelli vergini da coniare con una speciale macchina (pressa punzonatrice o tagliolo). “L’impianto della Zecca di Roma consiste in n. 5 taglioli, comandati con motori elettrici, 2 nel reparto metalli inferiori e 3 nel reparto metalli nobili. Ciascuna macchina è provvista di porta-punzone e porta-matrice in acciaio per tagliare due o più tondelli per volta. Le lame [lastre di metallo, ndr] sono portate sotto i taglioli con rulli di alimentazione all’entrata ed all’uscita della macchina. Un dispositivo può consentire di tagliare automaticamente la cesaglia[3]. La velocità della macchina è di 150 colpi al minuto con una produzione di 300 tondelli con due punzoni.

I tondelli passano in seguito alla macchina cernitrice (una per ciascun reparto) che è costituita da una tela senza fine che trasporta il tondello e lo presenta successivamente con le due faccie”.

Inoltre, la Zecca di Roma era dotata per i metalli inferiori di due macchine orlettatrici rotative sistema Jones che “consistono essenzialmente in un albero con puleggia fissa e folle che porta un disco, nel quale è fissato un anello con scanellatura temperato. Di fronte trovasi una ganascia regolabile portante essa pure una scanellatura corrispondente a quella opposta del disco nobile. […] La produzione di questa macchina è di circa 600 pezzi al minuto”.

Invece, per i metalli nobili disponeva di “due macchine rettilinee alternative quadruple: ciascuna macchina porta due tubetti di alimentazione e lavora in doppio, cosicché ad ogni rotazione dell’albero si orlettano quattro tondelli: i cuscinetti per orlettare, nei quali si sviluppa il tondello, sono in acciaio temperato. La produzione di ciascuna macchina è di circa 230 pezzi al minuto”.

Sempre all’interno delle officine si trovavano “due sale, in una delle quali è collocato il forno di ricottura a muffola e nell’altra le vasche di biancamento. Il forno a rincuocere è semigazogeno con due focolari e due muffole di materiale refrattario. […] Il biancamento è fatto in separato locale, che dispone di quattro bacinelle di piombo con saldatura autogena contenenti il bagno d’acqua acidula riscaldata con vapore a bassa pressione sovrariscaldato”.  Per i metalli inferiori, la Zecca disponeva “di due forni a riverbero a suola rotante con riscaldamento a legna e con gli occorrenti apparecchi per l’imbiancamento del bronzo col cremor di tartaro”.

Figura 103 – Presse Greenwood & Batley (a sinistra) e presse Uhlhorn (a destra) della Zecca di Roma

Nella parte centrale del pianterreno invece è stata collocata la sala della stampa, dove sono collocate le presse monetarie. La nuova Zecca di Roma di via Principe Umberto era dotata inizialmente di quindici presse monetarie – della quali dieci presse Uhlhorn provenienti dalla Zecca pontificia e cinque nuove presse americane Greenwood & Batley, “con la pressione del basso verso l’alto ed a ginocchio doppio, comandate da motore elettrico direttamente con l’ingranaggio. Le presse Uhlhorn possono battere 75 colpi al minuto, le presse di nuova costruzione [le presse Greenwood & Batley, ndr] possono battere 90 colpi, quelle di grande modello, e 100 colpi quelle di piccolo modello”. Inoltre, per la coniazione delle medaglie e, come vedremo, per la fabbricazioni dei conî la Zecca di Roma era dotata anche di quattro bilancieri meccanici a frizione rispettivamente del diametro di 135, 140, 165 e 250 millimetri.

Figura 104 – Bilancieri a frizione della Zecca di Roma. A destra il “grande” bilanciere da 250 millimetri.

 “Tutti questi bilancieri meccanici sono azionati con separati motori elettrici: la forza massima del colpo che questi quattro bilancieri possono esercitare attraverso adatti spessori di metallo è rispettivamente di 100, 160, 250 e 550 tonnellate. Il grande bilanciere è costruito con gabbia in acciaio colato in un sol pezzo con madrevite in bronzo resistente. La vite è di acciaio cannone con la estremità temperata. L’albero di comando è di acciaio dolce e porta alla sua estremità la puleggia azionata con cinghia da un motore elettrico della potenza di 18 HP”.

Peraltro, va osservato che la Regia Zecca era anche dotata di alcuni bilancieri manuali, di cui uno – decorato con gli stemmi pontifici – proveniva dalla Zecca pontificia ed era stato fuso in bronzo nel 1735 sotto il pontificato di Clemente XII, l’altro, ornato dell’aquila napoleonica, proveniva dalla Zecca di Milano ed era stato fuso nel 1803 col bronzo dei cannoni tolti da Napoleone agli austriaci nella battaglia di Austerlitz.

Quella qui sopra descritta è la principale attrezzatura della nuova sede della Zecca in via Principe Umberto e la stessa era stata giudicata sufficiente a far fronte alle esigenze monetarie del Regno. Tuttavia, durante il periodo della prima guerra mondiale la Zecca dovette affrontare vari problemi, tra i quali: la riduzione delle maestranze e una scarsità di materiali, principalmente assorbiti dalle necessità belliche. A tale ultimo riguardo, si ricorda che nel 1918 quando fu deciso di emettere delle nuove monete da 20 centesimi per far fronte alla rarefazione degli spiccioli, si pensò di ricorrere ai nichelini umbertini dello stesso valore, che erano state ritirate dalla circolazione ed immagazzinate presso la Zecca (cfr. par. 2.B.5.1.).

Un altro problema tecnico, che la Zecca dovette risolvere, si presentò quando, nel maggio 1918, un regio decreto autorizzò l’emissione del «Tallero d’Italia» in argento con una leggenda in rilievo sul contorno. Poiché la Zecca italiana non disponeva ancora a quell’epoca di presse monetarie dotate di virola a più settori, la cosa presentava notevoli difficoltà per cui si decise di ricavare la legenda in rilievo sul tondello, coniandolo puoi fuori virola per non danneggiare la scritta. In questo modo, però, il contorno non risultava perfettamente circolare e le impronte sulle due facce della moneta apparivano piuttosto imprecise e sfuggenti verso la periferia dove il materiale del tondello, non contenuto, sotto la pressione esercitata dai coni, si espandeva.

Figura 105 – Presse Dubosc della Zecca di Roma

Nel 1919, in previsione di dover procedere a coniazioni di grandi quantità di monete per cercare di alleviare la crisi della circolazione metallica verificatasi durante la guerra, furono acquistate altre 35 presse che si aggiungevano alle 15 già in dotazione alla Zecca. Le nuove presse erano di fabbricazione italiana ed erano costruite dalla Soc. An. Dubosc di Torino, che è stata l’unica industria italiana di tutti i tempi che producesse presse monetarie[4]. Inoltre, il prezzo dell’argento in quegl’anni era cresciuto notevolmente e la gente tendeva a tesaurizzare le monete fatte di quel materiale. Pertanto, si pensò di sostituire le monete da una e due lire d’argento con monete dello stesso valore (buoni da una e due lire), ma fatte di un materiale inferiore: il nichel. La fornitura dei tondelli fu appaltata a ditte esterne italiane.

La coniazione di queste monete presentava grandi difficoltà dovute all’altezza ed allo sviluppo dei rilievi, nonché alla durezza del materiale ed alla presenza sul bordo della moneta della godronatura, ritenuta necessaria per distinguere questo taglio da quello dei cinquanta centesimi, che avevano il bordo liscio[5].  L’argento derivante dalle monete fuori corso fu, invece, utilizzato per coniare delle nuove monete da 5 e 10 lire. “Mentre la Zecca aveva la capacità di coniazione necessaria, non era attrezzata per la fabbricazione di un così gran numero di tondelli e pertanto fu necessario rivolgersi all’esterno. La commessa fu affidata alla Società Metallurgica Italiana (SMI), che adibì a questa particolare produzione lo stabilimento di Brescia[6].

I tondelli forniti dalla Soc. Metallurgica erano completamente finiti e cioè anche con la legenda FERT con stelle e nodi incisa sul contorno e non mancava ad essi che la stampa coi coni monetari. […] Allo scopo di distinguere le monete coniate con i tondelli fabbricati in Zecca da quelle coniate con i tondelli forniti dalla Società Metallurgica, se ne modificò opportunamente la legenda sul contorno ponendo una stelletta anziché due tra la legenda FERT ed il nodo d’amore[7].  Con riferimento alla fabbricazione dei tondelli, va anche ricordato che verso la fine degli anni ’30 e agli inizi degli anni ’40 furono introdotti due nuovi metalli inventati in Italia: l’acmonital, un acciaio inossidabile con soltanto il 18% di cromo, e il bronzital, una lega di rame, alluminio e zinco.

A seguito dell’istituzione della Repubblica Sociale Italiana nel 1943, la Direzione Generale del Tesoro – da cui dipendeva la Zecca – fu trasferita da Roma al Nord d’Italia e si decise quindi di istituire anche una sezione autonoma della Zecca. “Dopo una breve indagine sulle ditte del Nord Italia in grado di mettere a disposizione locali e macchinari per la fabbricazione delle monete, fu scelta la Società Nazionale Cogne di Aosta, che, oltre a disporre di locali ed impianti idonei, poteva fornire immediatamente una partita di cinque milioni di tondelli per monete da venti centesimi, residuo di precedenti forniture alla Zecca interrotte per mancanza di mezzi di comunicazione e di trasporto a causa degli eventi bellici. Il materiale indispensabile per il funzionamento della Zecca in Alta Italia fu spedito ad Aosta in tre riprese nel mese di aprile del 1944. Furono, inoltre, trasferiti colà sei funzionari della Zecca di Roma tra i quali l’Incisore Capo Pietro Giampaoli, al quale fu affidata la direzione tecnica della Zecca di Aosta[8].

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[1] Relazione del Ministro delle Finanze al R.D. 17 febbraio 1870, n. 5527, con il quale fu stabilito il concentramento della fabbricazione delle monete e delle medaglie nella zecca di Milano.

[2] Rosa Maria Villani, La Zecca d’Italia: l’Edificio e la sua storia, in Le zecche italiane fino all’Unità, a cura di L. Travaini, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 2011.

[3] La cesaglia è la lastra metallica forata di scarto.

[4] Nicola Ielpo, La moneta metallica in Italia – Breve storia della moneta metallica, della Zecca e della tecnologia monetaria, IPZS, 1980, pag. 90.

[5] Nicola Ielpo, La fabbrica del denaro, Texmat, 2008, pag. 78.

[6] Nicola Ielpo, La fabbrica del denaro, Texmat, 2008, pag. 79.

[7] Nicola Ielpo, La moneta metallica in Italia – Breve storia della moneta metallica, della Zecca e della tecnologia monetaria, IPZS, 1980, pag. 92.

[8] Nicola Ielpo, La fabbrica del denaro, Texmat, 2008, pagg. 82 e 83.